Pittura d’occasione legata ad un fenomeno turistico, interessò soprattutto Napoli e il Meridione dalla metà del Settecento alla metà dell’Ottocento. Colti aristocratici e mercanti raffinati, letterati e “amateurs” d’ogni parte d’Europa, commissionavano durante e dopo il soggiorno a Napoli e soprattutto a pittori stranieri presenti sul posto, dipinti con immagini e aspetti diversi del paesaggio napoletano o meridionale in genere. Era il diffondersi della moda dei viaggi, ed il conseguente desiderio di riportare in patria un “souvenir” raffinato. Ricordiamo a tal proposito il “Grand Tour”, viaggio d’istruzione che i giovani aristocratici inglesi (stranieri in genere) effettuavano sul nostro continente (che era alla base dell’interesse per la veduta). Pur raggiungendo a Napoli l’apice della popolarità bisogna pur dire che il fenomeno delle gouaches non mancò di diffondersi altrove, specie nelle città, dov’era sorto ed aveva trionfato il grande “vedutismo”. A Roma (i turisti potevano acquistare anonime gouaches del “Colosseo” durante tutto l’Ottocento), a Venezia (provvedevano a soddisfare le richieste di “Rialto” e di “Piazza San Marco”), ed anche a Firenze le richieste furono notevoli. La pittura “à la gouache” si fece quindi formula di successo, dando libero corso ad una vasta produzione di fogli con immagini del paesaggio e dei luoghi ormai canonici della veduta napoletana. Come tecnica pittorica la gouache presenta un duplice aspetto. Da un lato permette rapidità di esecuzione superiore a quella dell’olio o dell’acquerello, ma dall’altro non consente correzioni, ripensamenti, rielaborazioni, impedite dal fatto che i colori seccano rapidamente. Gouache in italiano corrisponde al guazzo; tecnica pittorica piuttosto antica che si avvale dell’’acqua come solvente di base, con l’aggiunta, per agglutinare il colore, di colle animali (di pesce, di coniglio, di pergamena, taurocolla ecc.) o anche di gomma (arabica, dragante, del Senegal, gomma lacca), o di altri preparati come il latte, il rosso e il bianco d’uovo, il lattice di fico, la cera sciolta in essenze, lo zucchero, il miele, ecc. L’uso di colle dà luogo alle tempere, più facili da usare ed anche oggi più conosciute. E’ difficile distinguere il guazzo dalla tempera in quanto gli effetti sono piuttosto simili; lo stesso Giulio Carlo Argan pose il guazzo a metà tra la tempera e l’acquerello. Il supporto più frequentemente usato era la carta leggera, ruvida o liscia, dalle varie dimensioni; i soggetti maggiormente richiesti erano le eruzioni del Vesuvio, il golfo visto da Posillipo, le scene di vita popolare sul litorale Flegreo, le antiche dimore di Pompei e di Ercolano, la Piana di Paestum, ecc. ecc. Tra i maggiori artisti ricordiamo paesaggisti quali Marco Ricci, Francesco Zuccarelli, i francesi Joseph Goupy, Charle Clerisseau, Jean Pillement. A Napoli lavorarono per la Corte Borbonica, e furono decisamente tra i migliori pittori di gouaches del periodo in questione, Jacob Philipp Hackert, Pietro Fabris, Saverio Della Gatta e Alessandro D’Anna.
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